Dopo le festività natalizie e di Capodanno, è arrivato il momento temuto dagli automobilisti: gli aumenti delle tariffe autostradali, che possono arrivare fino al 2,3% a seguito del decreto Milleproroghe. Questo adeguamento, dovuto all’indice d’inflazione, coinvolge diversi concessionari autostradali, ognuno con percentuali di aumento differenti.
Le condizioni contrattuali tra i concessionari e il Governo prevedono che i primi debbano effettuare lavori di manutenzione e ammodernamento, con relativi costi da presentare in un piano economico finanziario. Tuttavia, questa procedura non viene rispettata e, dal 2019, gli aumenti delle tariffe sono bloccati a causa del crollo del ponte Morandi.
La situazione viene complicata dalla necessità di sincronizzare l’indice d’inflazione con le spese di manutenzione previste nei Pef, non sempre valutate tempestivamente dai ministeri. Questo ritardo costringe i concessionari a sostenere spese senza poter introdurre gli aumenti necessari.
Nonostante il decreto Milleproroghe intervenga per sanare la situazione, gli utenti e le associazioni dei consumatori non sono soddisfatti. Per loro, gli aumenti non sono giustificati e contribuiscono solo ai profitti delle società autostradali, aggiungendosi alle altre tariffe che peseranno sulle famiglie nel 2024.
Nonostante i legittimi disagi degli utenti, va considerato che le tariffe autostradali italiane sono ancora inferiori a quelle di Paesi vicini come Francia e Spagna. Questi aumenti, approvati su base contrattuale, coinvolgono diversi concessionari autostradali, ognuno con percentuali di aumento diverse.
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