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Fair share: la proposta di Breton per una rivoluzione digitale, l’importanza di un Telecoms Act

Il fair share è legittimo ma deve essere inserito in un quadro legislativo più ampio. Il commissario al Mercato Interno, Thierry Breton, in un’intervista a Les Echos ribadisce la necessità che gli Ott contribuiscano allo sviluppo delle reti di Tlc, evidenziando però che non c’è nessuna volontà di aprire un conflitto tra telco e Big Tech. “Il contributo delle aziende tecnologiche – ha detto Breton – è legittimo ma non può che essere trattato dentro un contesto più ampio che andremo a definire. E non voglio mettere gli attori interessati l’uno contro l’altro”.

E’ necessaria dunque una risposta politica alla questione. “Serve un Telecoms Act – ha annunciato Breton – che sarà vettore della politica industriale dei prossimi 20 anni. Lo abbiamo già fatto per il mercato dei semiconduttori, con il Chips Act oppure, per la regolamentazione dei mercati digitali con il Digital Services Act e il Digital Markets Act”. La legge che sarà presentata in autunno avrà tre obiettivi: promuovere l’R&S nel settore delle Tlc; definire di un quadro legislativo per un mercato unico delle telecomunicazioni nell’Ue; sostenere la nascita di operatori paneuropei. Questo quadro legislativo sarà la base per garantire alle aziende di telecomunicazioni un ritorno sui loro investimenti.

Secondo Meta Platforms, la holding di Zuckerberg che controlla Facebook, Instagram e WhatsApp, il fair share dovrebbe essere l’ultima opzione per le telco europee che cercano di convincere le Big Tech a contribuire ai costi della rete. Secondo le aziende tecnologiche, infatti, una simile mossa non risolverebbe i problemi finanziari delle telco e non terrebbe nemmeno conto degli ingenti investimenti delle aziende tecnologiche. “La Commissione Ue dovrebbe innanzitutto chiedere alle telco, un impegno con i Pac (fornitori di applicazioni di contenuto) per raggiungere soluzioni tecniche non sovvenzionate”. Inoltre le sovvenzioni “dovrebbero essere assegnate tramite gara d’appalto per garantire la disponibilità a tutti gli operatori di rete, non solo ai grandi”. “Gli operatori storici che ricevono l’equivalente di salvataggi governativi dovrebbero inoltre essere sottoposti a ulteriori restrizioni, come l’eliminazione dei bonus dei dirigenti, i tetti ai compensi e il congelamento dei dividendi”, ha detto Meta.

Il Parlamento Ue, nella plenaria del 13 giugno, si è espresso a maggioranza a favore di una risoluzione a sostegno del principio senders-pay, ovvero chi manda traffico sulle reti paga. In pratica, il Parlamento europeo dice sì alla richiesta di istituire “un quadro politico in cui i grandi generatori di traffico contribuiscano equamente al finanziamento adeguato delle reti di telecomunicazioni, fatta salva la neutralità della rete”. La relazione annuale sulla concorrenza presentata al Parlamento europeo parla della necessità di un approccio di fair share, o equa partecipazione ai costi, soprattutto ora che l’Ue è impegnata a raggiungere gli obiettivi di connettività del Digital Compass 2030. Entro il 2030, tutte le famiglie dell’Ue dovrebbero avere connettività gigabit e tutte le aree popolate dovrebbero essere coperte dal 5G.

Il principio senders-pay accoglie la posizione dei grandi operatori delle reti di telecomunicazione, secondo cui le aziende big tech generano la maggior parte del traffico e raccolgono la maggior parte dei benefici dell’economia di Internet senza pagare i costi delle reti che trasportano quel traffico. Il principio, basato sul cosiddetto fair share, è stato sostenuto fin dal maggio 2022 dal commissario per il mercato interno Thierry Breton. La Commissione europea ha, poi, avviato una consultazione pubblica nel febbraio 2023 per verificare le posizioni dei diversi interlocutori e la percorribilità di un contributo degli over-the-top ai costi della rete.

Ovviamente il principio del fair share ha i suoi detrattori, a partire dalle big tech. Ma anche le organizzazioni della società civile sono critiche, temendo che la proposta sia contraria alla neutralità della rete in quanto richiederebbe di identificare chi genera il traffico internet e qual è la tipologia di traffico generato. Anche i regolatori delle telecomunicazioni riuniti nel Berec hanno espresso un parere negativo, convinti che l’intervento normativo non sia necessario, perché l’ecosistema di Internet ha mostrato la capacità di adattarsi in passato. Ma soprattutto, nel Consiglio dei ministri dell’Ue permangono le spaccature su un’eventuale proposta della Commissione europea per “tassare” le big tech. Alla riunione del Consiglio delle telecomunicazioni del 2 giugno, molti paesi dell’Unione hanno chiesto cautela. Al contrario, convinti sostenitori del fair share sono sono Italia, Francia e Spagna, da sempre vicini alle posizioni di Breton.

Partecipando al Telco per l’Italia, evento annuale CorCom-Digital360, il sottosegretario all’Innovazione, Alessio Butti, ha espresso dubbi sul fair share perché potrebbe determinare un aumento dei prezzi, limitando la scelta dei consumatori. E in ultima analisi frenare la digitalizzazione. “Non solo metterebbe a repentaglio i nostri obiettivi come Paese ma anche quelli del Digital Compass europeo”, ha detto Butti, spiegando che “una tassa su internet può ostacolare in modo significativo l’evoluzione del mercato digitale e limitare la scelta dei cittadini dell’Unione europea”. Secondo Butti si potrebbe andare a creare “un circolo vizioso di prezzi più alti, minore attrazione, minore scelta e minore utilizzo, che in ultima analisi significa minore domanda di reti ad altissima capacità (Vhcn), lasciando gli operatori telecom con reti in fibra inattive”.

D'Orazi Dario
D'Orazi Dariohttps://it-it.facebook.com/darioita
Editore e Giornalista mi occupo di tutto quello che fa parte della tecnologia, automobili e curiosità. Laureato sono sempre stato appassionato alla scrittura e amo il mondo del giornalismo.
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