HomeNewsGli influencer virtuali: una minaccia per i brand tradizionali?

Gli influencer virtuali: una minaccia per i brand tradizionali?

Utilizzando un chatbot IA per la ricerca su Internet come Perplexity, ci si renderà conto che uno dei termini più ricercati è Aitana Lopez, un’influencer virtuale creata utilizzando l’IA generativa sia per il suo aspetto che per i contenuti dei suoi post. Le centinaia di avatar digitali seguiti da milioni di persone e pagati migliaia di dollari a post, potrebbero far diventare gli influencer umani le prime vittime della nuova era dell’IA.

Con un’economia da 21 miliardi di dollari in continua crescita, gli influencer virtuali sono un gigante dei nostri giorni, e non sorprende che per molti giovani il sogno sia di emulare personaggi del calibro di Chiara Ferragni. Tuttavia, il rapido sviluppo dell’IA ha suggerito agli esperti di marketing un altro approccio.

La co-fondatrice dell’agenzia The Clueless, Diana Núñez, ha dichiarato di essere rimasta sorpresa dalle cifre guadagnate dagli influencer umani e ha pensato di crearne uno. Così è nata Aitana, che in poco tempo ha raggiunto 200.000 follower, pubblica selfie dai concerti e dalla sua camera da letto ed è pagata da marchi come Victoria’s Secret o Olaplex (un’azienda che produce prodotti per i capelli) circa 1.000 dollari a post.

Uno dei primi influencer virtuali di questo tipo, Lil Miquela, è ancora più dirompente, con contratti da centinaia di migliaia di dollari con aziende come Burberry, Prada e Givenchy. Gli influencer virtuali costano meno e anche se influenzano meno la vendita di prodotti, aumentano la consapevolezza e il richiamo verso il marchio. Ma soprattutto non presentano le controindicazioni degli influencer in carne e ossa, con i possibili problemi dovuti al loro comportamento o esternazioni.

Ma sono finti, direte. Questo è un aspetto interessante. Aitana dichiara apertamente di essere virtuale (usa l’hashtag #aimodel), ma ai suoi follower non interessa, e sono diversi quelli che chiedono di incontrarla di persona. In realtà, a parte in India, da nessuna parte c’è una legge che obbliga di indicare che un influencer è virtuale o meno, e molti usano il termine, piuttosto vago, #digitalinfluencer.

È interessante notare che gli influencer virtuali hanno una forte connotazione regionale o etnica, il che può sembrare controintuitivo per un fenomeno globale. Ad esempio, Lil Miquela ha quasi 3 milioni di seguaci e spazia dagli Stati Uniti all’Asia e all’America Latina. La società The Clueless che ha creato Aitana vuole aggredire questo mercato con una “messicana curvy” di nome Laila.

Studiando personaggi virtuali a tavolino per andare a incrociare un determinato tipo di pubblico, si sta aprendo la strada a un nuovo tipo di marketing. Anche se queste agenzie affermano che il loro obiettivo è favorire l’inclusività, per molti influencer in carne e ossa dietro c’è solo la volontà di fare soldi. Difficile ribattere, basta aprire Facebook, Instagram o TikTok e si capisce come si è bombardati da immagini di questo tipo.

Il fenomeno degli influencer virtuali solleva interrogativi sulla nostra attitudine a distinguere la verità dalla finzione. Forse stiamo assistendo al primo esempio in cui l’IA sostituirà gli umani. Anche se l’intervento delle persone per creare contenuti è tutt’ora molto importante per dare concretezza ai personaggi, gli influencer farebbero bene a preoccuparsi.

D'Orazi Dario
D'Orazi Dariohttps://it-it.facebook.com/darioita
Editore e Giornalista mi occupo di tutto quello che fa parte della tecnologia, automobili e curiosità. Laureato sono sempre stato appassionato alla scrittura e amo il mondo del giornalismo.
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